Quella di Abbadia San Salvatore, città delle Fiaccole, è la storia di un popolo che si è forgiato “col fuoco” sulle pendici dell’Amiata, un vulcano che ha plasmato uno dei paesaggi più belli al mondo.

Cenere, lava e lapilli hanno originato una montagna lussureggiante “sacra” per gli Etruschi, dove la natura diventa generosa e regala boschi di castagni e faggi.

Ed è proprio quel fuoco ad aver accolto attorno a sé i suoi numerosi figli attraversandone l’intera storia.

Lo racconta la leggenda che ci porta nel 700 dopo Cristo, quando il re longobardo Ratchis, durante una battuta di caccia nei boschi dell’Amiata, ebbe la visione della Trinità che gli apparve nelle forme di una fiamma divisa in tre parti posta su un castagno: un fuoco sacro che induce Ratchis a costruire proprio intorno a quell’albero la grande Abbazia dedicata al San Salvatore.

Per i figli del fuoco anche il bosco che veste il Monte Amiata è sacro, perché è casa, è pane, è vita. Un bene prezioso che nei secoli è stato difeso e curato. Abbadia San Salvatore ha, fin dal 1300, una forma di proprietà pubblica di parte del bosco. Quando gli abitanti, stanchi del vassallaggio al quale erano sottoposti dall’abbazia decisero di ribellarsi, i monaci pensarono di calmarli donando loro un’area della montagna ricoperta da macchia di faggio, fino ad allora completamente abbandonata. Più tardi la proprietà passò al Comune e nel momento in cui il granduca Pietro Leopoldo di Toscana decise di liquidare tutti i beni dei comuni, i badenghi ordirono una congiura per evitare che quei terreni dai quali traevano sostentamento fossero messi all’asta. 58 capofamiglia, per conto dell’intero paese, riuscirono a riscattare il fondo e finirono addirittura per affrontare i senesi interessati all’acquisto. Oggi quella porzione di bosco è ancora patrimonio della collettività badenga attraverso la Società Macchia Faggeta, costituita il 28 Febbraio 1800. Uno strumento giuridico particolare e unico che ha per oggetto il godimento, lo sfruttamento e la valorizzazione del tenimento.

Ma anche la storia recente di Abbadia San Salvatore vive del singolare intreccio tra uomo, bosco e fuoco: siamo nell’Ottocento quando si decide di estrarre il cinabro dalle viscere vulcaniche dell’Amiata. Per i figli del fuoco che vanno a lavorare in una delle miniere più grandi d’Europa, il legno della faggeta con cui si armano le gallerie, si offre come indispensabile alleato e preziosa protezione.

Il legno del bosco, il lavoro dell’uomo, il fuoco sacro capace di generare come quello che arde nelle viscere dell’Amiata: le “Fiaccole” celebrano tutto questo.

Nata più di mille anni fa, probabilmente per illuminare la via e riscaldare coloro che raggiungevano l’Abbazia per assolvere a riscontri di carattere amministrativo, quella delle Fiaccole è una consuetudine che si afferma legandosi alla notte del Natale, il momento in cui in antichità si festeggiava il “Dies Natalis Solis Invicti” ovvero quel tempo, dopo il solstizio d’inverno, nel quale la durata del giorno iniziava ad aumentare accompagnando la “rinascita” del sole, fuoco che illumina, che riscalda, che genera vita.

Una tradizione che si perde nella notte dei tempi e che ancora oggi rinnova il senso di essere comunità, la bellezza di essere figli di quel fuoco.